VENOM: LA FURIA DI CARNAGE (2021)

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Premetto che questa recensione per me è particolarmente dolorosa da scrivere, perché quando si ha a che fare con temi e personaggi che si sognava di vedere trasposti sul grande schermo fin da bambino, il tema diventa delicato e assume sfumature personali, proprio in quanto legato a un mondo – seppur fittizio – a lungo frequentato e che in un certo modo si sente come parte del propri dei ricordi e del proprio immaginario. Con Carnage (così come come il “papà” Venom) si toccano proprio tasti di questo tipo: è il tipo di personaggio estremo e senza freni che, prima dell’invasione dei cinecomics, non avresti sperato di vedere protagonista di un film ma a cui ora, visti anche mezzi e budget a disposizione, si augurava un film non dico vietato ai minori di 21 anni, ma quantomeno un buon action movie che gli rendesse giustizia. Questo non è avvenuto.
E’ vero, Venom nel 2018 era stata una vera e proprio delusione, ma credevo sarebbe stato difficile fare di peggio, anzi mi aspettavo che la produzione – visti gli ottimi incassi – correggesse il tiro e lavorasse su ciò che nel primo film non aveva funzionato. In questo senso le premesse erano buone: Andy Serkis alla regia (il taglio adulto del suo “Mowgli” ne aveva rivelato il potenziale dietro la macchina da presa), la conferma di Woody Harrelson nel ruolo del serial killer Cletus Kasady e un design del simbionte scarlatto accattivante. E un titolo “La furia di Carnage” che faceva sperare “beh, può funzionare”.
Invece entrando in sala anche le più rosee aspettative si sciolgono come neve al sole.
La Sony sembra aver gettato nel cestino tutto quel che in “Venom” poteva funzionare, riprendendo e amplificando tutto il resto: cominciamo proprio da Venom, di cui si è deciso di sotterrare tutta l’ambiguità morale trasformandolo in un “tenero gigione” che mangia pollame anziché cervelli (a due galline addirittura si affeziona) e ha velleità supereroistiche oltre che investigative. In aumento anche la percentuale di battutine nei battibecchi tra l’alieno ed Eddie Brock, che però somigliano a quelli di una coppia stile sit-com americana.
C’è anche un momento in cui la coppia si prende una pausa, e il simbionte a spasso della città che fa? Si sfoga mangiando cervelli, come ci si aspetterebbe dopo l’astinenza con Brock? No, si infila in una discoteca e fa un discorso da single in pausa di riflessione che non è mai saltato in mente a Pieraccioni nei suoi lavori peggiori.
Insomma, passi l’etichetta di “protettore letale” insistentemente ripetuta per tutta la durata del film, ma qui di letale c’è ben poco, il nostro Mangiacervelli ormai è più innocuo di Cattivik.
Torniamo a Kasady: la partenza in cella e l’atmosfera alla Hannibal Lecter inizialmente sembrano funzionare, l’assassino parla del suo passato e promette tanto per il futuro, ma poi arriva il momento del contatto con il simbionte (che nasce da un morso, unico momento del film in cui si vede un po’ di sangue) e da quel momento le cose iniziano a peggiorare, ma solo per noi spettatori.
Poteva funzionare l’idea di dare a Kasady un background più definito rispetto alla controparte fumettistica: qui scopriamo che ha una compagna, Shriek (Naomie Harris), dalle urla distruttive, conosciuta in orfanotrofio e ora detenuta in un istituto pieno di stereotipati medici che non fanno altro che trattarla come un mostro, in barba alle ultime teorie psicologiche. Bene, evaso dalla cella grazie al suo nuovo alleato simbiotico, Kasady corre subito a cercarla, ma invece di dare sfogo alla “furia” del titolo e di massacrare chiunque gli capiti a tiro (come ci si aspetterebbe) tira dritto e ruba una macchina, senza neanche interrogarsi più di tanto su quello che gli è successo. E nemmeno Shriek quando vede il suo amato psicopatico unito con il simbionte sembra stupita, si limita a dire qualcosa come “Wow, che potere figo che hai” (non sto banalizzando, la battuta è più o meno questa) e la sceneggiatura non si spinge molto in là. Giunti a questo punto della recensione, spiace dover dire che non c’è molto di più: l’azione non decolla mai, Kasady passa il tempo rimanente del film a non fare semplicemente nulla, se non qualche (breve) scazzottata con suo padre Venom e qualche dialogo con Michelle Williams, che qui sembra tornare nei panni della ex di Brock solo perché c’è scritto nella sceneggiatura più che per reali necessità narrative. In più torna assieme alla sua imbarazzante nuova fiamma, protagonista di un paio di imbarazzanti azioni eroiche per cui in una qualsiasi storia con Venom e Carnage sarebbe stato fatto a pezzi al primo passo.
Senza rivelarvi oltre (ma non c’è molto altro da rivelare, se non la scena post-credit che… beh, neanche quella mi ha particolarmente entusiasmato), vi invito a farvi una domanda: è questo che Sony e Marvel si aspettano da voi? Farvi affezionare a versioni annacquate e snaturate dei loro personaggi a fumetti, con una scrittura ridicola che danneggia i loro brand in nome del politically-correct e della battutina facile? Il risultato sono pessimi prodotti come questo, di cui onestamente non avrei voglia di vedere un seguito, nemmeno se integrato con l’MCU.
Perché neanche da quindicenne avrei voluto vedere combattere un bimboragno contro il Gabibbo nero.
(Luca Romanelli)