Liberamente tratto da
"La macchia della razza" di Marco Aime
e
"Il razzismo spiegato a mia figlia" di Tahar Ben Jelloun
Con:
Luca Romanelli, Daniela Marcolungo
Regia:
Luca Romanelli
"Tutte le società producono stranieri: ma ognuna ne produce un tipo particolare, secondo modalità uniche ed irripetibili", Zygmunt Bauman
Razzismo: argomento scomodo da trattare, specialmente quando ci riguarda direttamente. Quasi un tabù, del quale si preferirebbe non parlare, sul quale passeremmo volentieri sopra.
"Io? Io non sono razzista... però..." tendiamo a dire quando ci sentiamo chiamati in causa. Perché spesso non siamo consapevoli di assumere atteggiamenti razzisti, o non ammettiamo apertamente di averli. Quasi come fossero qualcosa di superato, o che magari riguarda altri, non noi. Noi siamo buoni.
Con queste autogiustificazioni, certi comportamenti diventano scontati, "normali". E soprattutto quotidiani.
Da qui l'esigenza di una lettera "italiana" sugli italiani, per riflettere sul nostro rapporto, passato e presente, con la "diversità". Un excursus storico che ha come oggetto la discriminazione razziale e l'intolleranza, con particolare riferimento al flusso migratorio in Italia e dall'Italia, per ricordarci di quanto e quando gli "stranieri" contro cui si puntava il dito eravamo noi.
Una lettera indirizzata alle vittime di oggi, vittime della xenofobia, della peniafobia e soprattutto della paura, per indagare e fare luce sulle cause del razzismo, ma anche sul ruolo attivo di slogan preconfezionati e parole il cui significato - complice anche la confusione mediatica - viene spesso frainteso e politicamente strumentalizzato: un linguaggio che deforma la realtà, porta a parlare di "scontro di culture" invece di considerare la varietà culturale come un valore e una possibilità di arricchimento individuale e collettivo.
Un modo per far luce, con molta ironia, su chi siamo, e su quali siano le forze sociali ed emotive che governano il nostro agire, per evitare di diventare tutti dei razzisti inconsapevoli o di girare, silenziosamente, la testa dall'altra parte.
Perché "il razzista lo vedi, lo riconosci lo senti parlare, gli altri no".